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Relazione tra obesità ed infezioni virali

Aprile 19, 2020 - antonio

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Introduzione

L’epidemia di COVID-19 è causato da un ceppo virale simile a quello dell’influenza (SARS-CoV2). Dall’avvento dell’influenza spagnola nel 1918, è risaputo che la malnutrizione sia in difetto che in eccesso è collegata ad una prognosi peggiore dell’infezione virale [1]. L’influenza asiatica (1957- 1960) e quella di Hong Kong (1968) hanno confermato che l’obesità e il diabete portano ad una più alta mortalità ed ad un prolungamento della durata della malattia anche in quei soggetti che non presentano altre condizioni o malattie pregresse che potrebbero incrementare il rischio di complicanze dovute all’infezione [2,3]. Durante l’influenza causata dal virus AH1N1 (IAV) del 2009, l’obesità è stata collegata ad un rischio maggiore di aggravamento della malattia ed è stata considerata ufficialmente un fattore di rischio per l’ospedalizzazione e la morte [4].

Perchè i pazienti obesi hanno un magior rischio di sviluppare sintomi gravi ?

I soggetti obesi e obeso-diabetici presentano alterazioni nella risposta immunitaria caratterizzata da uno stato di infiammazione cronica [5]. Questo è alla base di tutta una serie di disfunzioni metaboliche associate all’obesità. Solitamente, i pazienti obesi, presentano concentrazioni più elevati di diverse citochine proinfiammatorie (TNF-alpha, MCP-1, IL6) le quali vengono prodotte principalmente dal tessuto adiposo viscerale e sotto-cutaneo e che portano a malfunzionamenti della risposta immunitaria innata [6]. Quando viene presentato un antigene, l’infiammazione cronica correlata all’obesità, causa una ridotta attivazione dei macrofagi e produzione di citochine che seguono l’attivazione dei macrofagi [7]. Questa riduzione dell’attivazione dei macrofagi spiega anche la più scarsa efficacia dei vaccini nei soggetti obesi [8]. Non solo il sistema immunitario innato, ma anche quello adattativo viene influenzato negativamente dall’obesità. Nel 2009, Zhang et al., hanno ipotizzato che la resistenza alla leptina tipica dei soggetti obesi, fosse un cofattore dell’influenza A (H1N1) in quanto la leptina è uno dei maggiori responsabili della maturazione e funzionalità delle cellule B del sistema immunitario [9]. Similarmente, i pazienti obesi possono avere alterazioni sia numeriche che funzionali dei linfociti che porta ad un malfunzionamento delle cellule T della memoria immunitaria e ad una minore efficacia dei vaccini [10]. L’obesità inibisce sia la risposta cellulare virus-specifica CD8+T che la risposta anticorpale al vaccino dell’influenza stagionale. Questo, insieme ad una funzionalità subottimale dei macrofagi, porta ad uno scarso funzionamento dei vaccini nei soggetti obesi [11]. Questa infiammazione cronica non controllata, favorisce anche la formazione di lesioni polmonari osservata nelle vittime durante la pandemia di influenza [12]. Da uno studio fatto su topi obesi con il virus AH1N1 da Honce et al., è stato visto che nei topi obesi era maggiormente favorita la replicazione virale con un incremento delle probabilità di insorgenza di mutazioni del virus. Questo probabilmente a causa di una minore espressione di interferone (INF) nei topi obesi rispetto a quelli non obesi. In studi successivi, è stato visto che questi risultati non sono limitati ad un singolo ceppo di virus ed avvengono anche nell’uomo [12-14]. Un altro problema tipico degli obesi, è la sedentarietà. La ridotta attività fisica, infatti, peggiora la capacità di risposta del sistema immunitario attraverso diversi meccanismi incluso quello dell’inibizione dell’attivazione dei macrofagi [15,16]. Sia l’attività fisica che l’esercizio, sono stati correlati positivamente con un miglioramento dello stato di salute sia metabolica (diabete, sindrome metabolica) che immunologica (risposta immunitaria, efficacia dei vaccini, senescenza immunitaria). Interventi effettuati anche solo con l’attività fisica hanno dimostrato di essere in grado di ridurre il rischio di insorgenza di complicanze modulando l’infiammazione, rafforzando il sistema immunitario e migliorando l’efficacia dei vaccini negli anziani [17]. E’ anche importante considerare, come potenziale fattore di rischio per questi soggetti, anche le dinamiche di ventilazione polmonare in quanto hanno una ridotta escursione diaframmatica rispetto ai soggetti non obesi.

Perchè i pazienti obesi sono potenzialmente più contagiosi di quelli magri ?

Sono tre i fattori che fanno sì che i soggetti obesi siano più contagiosi rispetto a quelli magri. Per prima cosa, è stato visto che gli obesi rilasciano virus per un periodo molto più lungo (circa il 104% più lungo) rispetto a quelli magri, aumentando quindi, le probabilità di contagiare qualcuno [18]. Secondo: a causa della minore espressione di interferone, nei soggetti obesi aumenta la probabilità di mutazione del virus con conseguente aumento del rischio di generazione di nuovi ceppi virali più aggressivi [13,14]. In ultimo, è stata trovata una correlazione positiva tra BMI (rapporto tra peso e altezza) e quantità di virus infettivo nel respiro esalato [19]. Quest’ultimo punto, è stato visto essere particolarmente significativo negli uomini piuttosto che nelle donne probabilmente a causa di maggiori volumi di ventilazione o di una differente conformazione del petto [19].

Conclusioni

Da uno studio statistico recentissimo dell’ 11 Aprile 2020 effettuato dalla dottoressa Jennifer Lighter della New York University Langone Health, è stato visto che i soggetti obesi (BMI>30) di età inferiore a 60 anni, hanno il doppio delle probabilità di sviluppare compicanze gravi a seguito di infezione da coronavirus SARS-CoV-2, rispetto ai soggetti magri [24]. Questo, unito agli studi precedentemente citati, in cui si è visto che l’obesità è, non solo un fattore di rischio per la persona che contrae l’infezione ma che favorisce anche la comparsa di nuovi ceppi virali, ci fanno concludere che la prevenzione gioca come al solito un ruolo chiave e che uno stile di vita sano fatto con dieta ed esercizio fisico sono, anche in questo caso, un ottimo sistema per prevenire la malattia e mantenersi in salute. Diversi studi hanno dimostrato che l’esercizio fisico è in grado di indurre cambiamenti positivi nella risposta immunitaria indipendentemente dalla perdita di peso [15, 20-23]. Visti questi dati e, dal momento che il virus SARS-CoV-2 non aleggia nell’aria ma si trasmette solo tramite contatto ravvicinato con le persone (attraverso goccioline di saliva che vengono secrete tramite la respirazione, tosse, starnuti ecc.) [US Centers for Disease Control and Prevention], è mia opinione personale che piuttosto di impedire alla gente di praticare attività sportiva all’aperto rispettando le distanze di sicurezza, sarebbe forse più utile impedire o quantomeno scoraggiare il consumo di quantità infinite di torte, pizza, primi piatti iper-conditi per poi starsene giornate intere sdraiati sul divano.

Dr. Antonio Faraco

Biologo Nutrizionista

ant.faraco@gmail.com

www.nutrizioneclinicaesport.it

Bibliografia

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